Andare a vivere in un posto molto lontano da casa porta con sé una serie sforzi, tra cui quello di adattarsi alla cultura del paese ospitante. È di certo una cosa messa in conto, ma anche in un posto noto per la pizza, la moda e la tendenza a gesticolare eccessivamente può risultare un ostacolo difficile da superare.
Andare
a vivere in un posto molto lontano da casa porta con sé una serie sforzi, tra
cui quello di adattarsi alla cultura del paese ospitante. È di certo una cosa
messa in conto, ma anche in un posto noto per la pizza, la moda e la tendenza a gesticolare eccessivamente
può risultare un ostacolo difficile da superare.
Quell'ostacolo viene comunemente definito "shock
culturale", il senso di smarrimento causato da un improvviso cambiamento
nel proprio stile di vita. Per quanto il termine possa sembrare negativo, si
tratta semplicemente delle piccole, grandi cose che ci lasciano spiazzati
davanti a ciò che non siamo abituati a vedere, mangiare, toccare, sentire e
vivere in quel modo.
Per capire cosa ci sia di insolito in Italia per chi non è
nato e cresciuto qui, abbiamo parlato con un po' di persone emigrate dai vari
angoli del mondo. La domanda che abbiamo posto loro è stata: "Qual è la cosa che ti ha scioccato di
più dell'Italia quando sei arrivato?"
“Della cultura italiana c'è una cosa che mi lascia perplessa ma al contempo mi
riserva dei vantaggi: per gli italiani conta molto l'aspetto (di se stessi e
degli altri). L'esempio più calzante è quando vado al supermercato sotto casa
per prendere il latte o una bottiglia d'acqua—è buffo vedere come il personale
mi tratti a seconda di come appaio quel determinato giorno. Se sono vestita per
bene e truccata ottengo graziosi sorrisi (dalle donne), qualche buono (da
entrambi i sessi) e anche degli "assaggini" (sicuramente dagli
uomini). Ma se non sono in ordine, magari perché sono uscita solo per qualche
minuto, il personale fa come se non mi avesse mai vista prima (e come se non
avesse la minima intenzione di rivedermi), comportandosi come se dovessi
essergli grata per aver ricevuto ciò che cercavo. Il lato positivo? Per le strade
di Milano vedi sempre persone curate nell'aspetto” — Mi Dong, Cina
“Quello
che mi ha impressionato maggiormente della cultura italiana quando sono venuto
qua è stato l'attaccamento morboso di moltissimi miei coetanei verso la
famiglia. In Albania, appena un ragazzo ha un lavoro se ne va di casa—non
perché non vuole bene a sua madre e a suo padre, ma per una questione
d'indipendenza. Mi ricordo ancora di quando vivevo da solo e di come un sacco
di persone mi dicessero, "Ma sei così giovane, perché vivi da solo?"
Avevo 22 anni e un lavoro”. — Vasjon Hoxhalli, Albania
“Va detto che quando mi sono trasferito qua dalla Polonia—quasi 11 anni
fa—l'Italia era un altro paese e ora le cose sono cambiate molto. C'erano tante
cose che mi sembravano atipiche, dalla distanza corporale con cui due persone
si parlano all'importanza della pausa pranzo. Comunque sia la cosa che mi ha
stupito di più era quanto poco comune fosse usare internet. Nel mio primo
giorno all'Università di Pavia ho chiesto agli altri di scambiarci le mail per
tenerci aggiornati su tutto ciò che riguardasse l'università. Ricordo
perfettamente che una persona mi ha addirittura risposto di non avere un
indirizzo e-mail o di persone che mi dicevano "Cioè ce l'ho una casella,
ma non la controllo mai." Altri ancora non avevano capito cosa stessi
dicendo, forse perché allora parlavo solo in inglese”. — Piotr Niepsuj,
Polonia
“Nel
complesso gli italiani mi sono sempre sembrati molto caldi, cordiali ed
entusiasti. Ciò che può lasciare perplesso uno "straniero" è la
differenza nel modo in cui tendono a fare le cose. Molto spesso per esempio
dicono ciò che l'ascoltatore si aspetta di sentirsi dire, piuttosto che la
verità, nel tentativo di fargli un piacere. Ad esempio: se chiedi "Ce la
faresti a consegnare il prodotto entro venerdì mattina?" magari ti dicono
"sì" anche se è improbabile. Tralasciando questo, per noi stranieri
il più grande dei problemi è l'assurda complessità della burocrazia italiana.
Sono stato malato di cancro e in ospedale a un certo punto ero più preoccupato
per i documenti e le ricette necessarie che della malattia in sé”. — Rowland Jones,
Regno Unito
“La prima cosa a cui ho faticato ad abituarmi erano tutte le regole e gli orari
che riguardavano il cibarsi: ti sei perso il pranzo, peggio per te, non sarà
servito altro fino a cena. Vuoi un cappuccino dopo mezzogiorno? Non si fa.
Inoltre se "infrangi le regole" e chiedi qualcosa, puoi benissimo
beccarti un'occhiataccia o addirittura una risata in faccia. Un'altra cosa
strana per me è stata l'amicizia tra uomini. Generalmente gli italiani cercano
molto di più il contatto fisico quando si tratta di socializzare, ma penso che
soprattutto i legami tra uomini siano forti ed espressi molto apertamente. Due
amici che camminano per strada con un braccio sulle spalle dell'altro o un
gruppo di ragazzi al ristorante di venerdì sera—sono cose che in Lituania non
vedi, o per le quali lì verresti considerato poco mascolino. Trovo strane anche
la frutta o la verdura impacchettate singolarmente al supermercato. Molto poco
eco friendly! E i trentenni che non si trovano bene a vivere da soli
(emotivamente e praticamente) perché è la prima volta che si allontanano dai
genitori”. — Dalia Dub, Lituania
"La
frangia così non mi piace!" Quando ho sentito questa frase la prima volta
sono rimasto a bocca aperta. Ho lavorato a lungo come parrucchiere in Giappone,
ma non mi era mai capitato di sentirmi dire "non mi piace" in maniera
così sfacciata. In Giappone tendono a dire "Sì va bene, a posto" con
una faccia scontenta... Ma ecco, ti fanno capire che apprezzano comunque il
lavoro. Invece i clienti italiani sono proprio diretti. Con il tempo ho
imparato a conviverci, ma ricordo che inizialmente questo modo di fare mi ha
spaventato e fatto sentire a disagio”. — Shinichi Morita, Giappone
“Dopo
quasi sei anni in italia trovo ancora difficile decidere cosa mangiare a
colazione. È una lotta, per me. In Libano siamo abituati alle colazioni
abbondanti e sopratutto salate, e la modesta colazione italiana abbastanza
dolce mi tormenta. Al di là di questo, dell'Italia mi ha stupito in positivo la
normalità con cui si parla del fatto che sei al verde o che non puoi
permetterti qualcosa in certi periodi. In Libano è spesso un tabù e una
vergogna per tanti parlarne, sopratutto con gli amici. Per contro, dopo tutto
questo tempo a Milano mi trovo ancora davanti delle persone che mi chiedono se
dalle mie parti si vive in tenda, ci si sposta con i cammelli o se addirittura
abbiamo il gelato. Il vivere "in denial" e l'ignoranza sono a volte
estreme. Si tende a stare nel proprio piccolo mondo ignorando quello che
succede attorno oppure fregandosene”. — Ali Kiblawi, Libano
“Vivo
in Italia da più di dieci anni. Per la maggior parte del tempo, è sempre stato
un piacere. Amo avere accesso diretto a un dottore in caso di bisogno e amo non
dover sottoporre il mio bambino ai metal detector e le esercitazioni
anti-sparatoria di massa a scuola. Ci sono comunque cose che mi hanno lasciato
a bocca aperta. Una delle prime è stato l'atteggiamento di alcuni italiani nei
confronti dei turisti che visitano il loro paese. Ho sentito spesso lamentarsi
del turismo e della gente che d'estate viene qua. Voglio dire, una buona parte
del PIL è dato dal turismo. Cosa c'è da lamentarsi? Avevo un amico che diceva
di voler diventare il David Letterman italiano e buttare giù un programma:
"10 modi in cui l'Italia ti fotte la testa". Ho sempre pensato che
dieci fossero troppi. Ce n'è solo una che mi ha fottuto la testa: i segnali
stradali. Può sembrare una cavolata, ma è assurdo pensare a tutti chilometri
che facciamo in più perché le strade e le vie sono indicate male. È così
assurdo da far pensare che l'Agip debba aver progettato questo sistema per
succhiare un po' di euro extra a ogni viaggiatore. E quando sei bloccato in
strada e non sai dove andare, ecco la seconda cosa che mi ha fatto sempre
strano: il clacson”. — Jason Evers Johnson, Stati Uniti
“All'estero
non mancano gli stereotipi sulla burocrazia, la corruzione, il razzismo
quotidiano e le tradizioni in fatto di famiglia e cibo, quindi molte delle cose
che ho visto quando sono arrivato qua non mi hanno proprio scioccato. Ciò che
mi ha stupito di più invece è una cosa che considero positiva:
l'incoraggiamento alla diversità comportamentale. Sono cresciuto in un paesino
con la mentalità conformista che è tipica della Scandinavia, spesso descritta
come la Legge di Jante. In poche parole: devi per forza comportarti come gli
altri. Se non lo fai è probabile che gli altri membri della comunità ti
escludano, o comunque ti tengano d'occhio fino a quando fai un errore, per poi
incolparti per la tua voglia di apparire diverso. Quindi è stata una grande
sorpresa per me vedere come gli italiani spesso apprezzano la stessa diversità
comportamentale che i norvegesi castigherebbero”. — Dræge Jonas,
Norvegia
“Quando sono arrivato in Italia per studiare vivevo in una casa per studenti
offerta dall'università. C'erano molti altri stranieri, ma anche italiani
provenienti da tutta l'Italia. La prima cosa che mi ha colpito è stata la loro
apertura nei miei confronti. Non ho percepito discriminazioni di alcun
tipo—almeno non in casa. Anzi, molti dei ragazzi mi hanno aiutato a risolvere
faccende burocratiche che da solo non avrei mai risolto. L'unica cosa che mi ha
colpito veramente è stato il loro rapporto con la televisione. Avevamo una
grande sala dove mangiavamo tutti insieme e a ogni pasto si guardava e
commentava ciò che passava in televisione. Questa è una cosa che in Congo non
esiste: durante i pasti ci si dedica alla famiglia, non ai programmi tv. C'era
uno studente di Como che commentava ogni donna che vedeva in tv, faceva
apprezzamenti sul suo fisico e spesso le definiva con termini dispregiativi. Da
me questa immagine della donna in televisione non c'è e se c'è la si guarda
senza commentare”. — Martin Mbongo, Congo
Mi
sono trasferito in Italia dall'Australia quando ero un bambino. Non erano
grandi questioni che mi hanno colpito dell'Italia. Erano più cose banali,
piccole ma al tempo stesso estremamente scioccanti. Per esempio, ero più che
abituato a correre in giro dappertutto senza scarpe nell'emisfero australe.
Quando lo facevo qua mi trovavo di fronte a espressioni di disgusto ed
esclamazioni del tipo "Guarda che ti prendi i funghi!" O saltare in
piscina o in mare prima di un esilio forzato di tre o quattro ore dopo un
pasto—quella leggenda da dove è saltata fuori!? Col tempo, la cosa che mi ha
colpito di più è stata la mancanza di consapevolezza dell'Italia nei confronti di
slogan, testi di canzoni, parole inglesi. Mi ricordo ancora di una bambina, in
quarta elementare, innocente, carina, con la testa piena di principi azzurri e
film della Disney, che un giorno è arrivata in classe indossando una felpa
arricchita dalla scritta 'Fucking Bitches Club'”. —Brendan Harvey,
Australia
“Avendo
vissuto in altri due Paesi europei ero già preparata alle manifestazioni
d'affetto in pubblico, all'acqua potabile e al non essere costantemente
giudicata per il modo in cui mi vesto o comporto—se escludiamo il velo,
chiaramente. Ma c'è una cosa che mi sconvolge dell'Italia, più dell'ossesione
degli italiani per Hello Kitty (sul serio però, perché? Giuro che per un po' ho
addirittura dubitato fosse effettivamente giapponese): in Italia devi prendere
un appuntamento per qualsiasi cosa. A volte in università mi è capitato di
dover prendere un appuntamento per poter prendere un altro appuntamento”. — Sidra Khan, Pakistan